La stipsi è un problema che molti genitori hanno dovuto affrontare durante il percorso di crescita del proprio figlio. Ma cosa si intende con questo termine? Quali sono le cause e le possibili conseguenze della stipsi nel bambino? Perché è importante affrontarla tempestivamente?
Ne abbiamo parlato con il Dottor Alberto Ravelli, specialista in Gastroenterologia Pediatrica.
Dottor Ravelli, iniziamo a fare un po’ di chiarezza sulla definizione di stipsi: quando un bambino è considerato stitico?
In genere, in base a una valutazione di tipo numerico si definisce come stipsi un numero di evacuazioni settimanali inferiore a tre. Questo, tuttavia, può essere fuorviante. Una valutazione più corretta si riferisce alle modalità di evacuazione: in questo caso la stipsi viene definita come difficoltà all’evacuazione, con evacuazione di feci anormali, ossia dure e/o voluminose (fecalomi) e/o caprine.
A volte alla stipsi si associano altri sintomi quali sanguinamento e/o dolore durante l’evacuazione e/o dolore addominale.
È importante precisare che la stipsi è un problema molto frequente. Basti pensare che rende ragione del 10-15% di tutte le consultazioni pediatriche generali e addirittura del 20-25% in ambito specialistico gastrointestinale. E probabilmente queste percentuali aumenterebbero ulteriormente se il problema non venisse tanto spesso sottovalutato.
Quali sono le cause principali della stipsi?
In genere quando si parla di stipsi ci si riferisce alla stipsi di origine funzionale, che rappresenta oltre il 90% dei casi ed è legata a una disfunzione dovuta al fatto che l’apparato neuromuscolare intestinale non funziona in maniera perfetta. Spesso è legata a un’abitudine che non viene corretta nei primi mesi o anni di vita del bambino oppure a una predisposizione, legata per esempio a un transito intestinale più lento, che si ritrova anche in uno dei genitori.
Se nel lattante nella fase del divezzamento, o nel bambino nella fase di svezzamento dal pannolino non si correggono le prime difficoltà a scaricarsi, si può creare un’abitudine, una situazione anatomo-funzionale che si cristallizza. Infatti il persistente accumulo di feci nel retto (più precisamente nella porzione che si chiama ampolla rettale) ne provoca una distensione sempre maggiore, alla quale conseguono progressiva riduzione della capacità percettiva e diminuzione della forza di contrazione muscolare, per cui occorre una quantità sempre maggiore di feci nel retto per avvertire lo stimolo ad evacuare, ma allo stesso tempo la forza muscolare intestinale necessaria per evacuare è insufficiente. Può inoltre subentrare dolore all’evacuazione e quindi il bambino inizia a trattenere le feci, dando origine a un circolo vizioso che deve essere interrotto.
Va precisato che in una minoranza di casi la stipsi viene definita organica in quanto correlata a una malattia, a una causa più o meno nota e riconoscibile dal punto di vista strutturale (per esempio di natura malformativa, ostruttiva, infiammatoria o neuromuscolare intestinale) che richiede una terapia specifica, di tipo medico oppure chirurgico. La patologia più comune in tal senso è il megacolon agangliare, che richiede un trattamento chirurgico in quanto uno sviluppo anormale dell’innervazione in alcuni tratti del colon o del retto ne impedisce il rilasciamento.
Il problema della stipsi può presentarsi già nei lattanti?
Nel lattante quando si cambia alimentazione (per esempio nel passaggio dal latte materno al latte vaccino oppure con l’introduzione di alimenti solidi) la consistenza delle feci può cambiare. Se queste vengono trattenute per un tempo più lungo del normale (ore o giorni) si comincia a creare un ristagno e, se non viene corretto, col tempo si produce una sorta di abitudine. È importante quindi che i genitori prestino grande attenzione al fine di riconoscere tempestivamente i primi segnali.
Una situazione che può manifestarsi nei primi mesi ed essere precursore della stipsi è la cosiddetta dischezia del lattante, un disturbo funzionale che definisce una defecazione difficoltosa, correlata a una dissinergia addomino-pelvica, ossia a una scarsa coordinazione tra il diaframma (che deve spingere verso il basso) e la muscolatura intorno al canale anale (che consente di rettilineizzare il canale lasciando passare le feci). In questi casi, il lattante sta bene, mangia e cresce, ma piange e si agita quando deve scaricarsi, soprattutto dopo le poppate. A mio parere l’approccio più corretto è aiutare il bambino a evacuare attraverso una stimolazione anorettale meccanica, per esempio introducendo delicatamente nell’ano la punta di un termometro o un sondino ben lubrificati, oppure praticare un microclisma al fine di sbloccare la situazione. In genere si tratta di una problematica destinata a risolversi da sola, soprattutto quando il lattante viene aiutato in maniera sistematica.
E nei bambini più grandi?
Nel bambino più grande subentrano altre situazioni, per esempio il dolore all’evacuazione. A differenza del lattante (in cui le feci sono semiliquide), nei bambini le feci sono normalmente solide e quindi è necessario che i meccanismi neuromuscolari preposti a dare lo stimolo a evacuare, la contrazione della muscolatura e il coordinamento tra diverse strutture muscolari endoaddominali consentano un’evacuazione normale.
Se le feci sono particolarmente dure o si lasciano ristagnare per giorni, l’acquisizione di questi automatismi può ritardare o perdersi temporaneamente.
Se non si tratta di un problema che ha le radici nella prima infanzia e non è stato riconosciuto e affrontato, in genere la stitichezza può essere legata a un viaggio, a un cambiamento climatico o di alimentazione, a una minor idratazione temporanea (per esempio durante la stagione estiva).
Trascurare il problema quali implicazioni può avere?
Una delle conseguenze della stipsi è l’aumento del volume delle feci e quindi il fatto che il loro passaggio crea dolore portando il bambino, in genere in età prescolare o scolare, a trattenere le feci peggiorando ulteriormente il problema, in quanto le feci tendono a diventare sempre più voluminose e più dure.
È importante precisare che non si tratta di un problema di natura psicologica, ma di una vera e propria problematica su base fisica, perché il bambino ha dolore quando evacua e quindi cerca di evitare il dolore trattenendo le feci.
In alcuni casi può verificarsi il cosiddetto “soiling”, ossia delle perdite fecali, in modo involontario e non controllabile: le feci liquide o semiliquide, presenti a monte del blocco di feci solide, filtrano sporcando la biancheria intima (questo problema talvolta viene equivocato e interpretato come diarrea o incontinenza fecale).
Altre conseguenze sono il dolore addominale (da ostruzione e ristagno di gas e da conseguente distensione delle anse addominali) e il sanguinamento, causato sia dal trauma sulla mucosa conseguente al passaggio di feci molto dure sia dalla congestione dei plessi emorroidari.
È importante che i genitori abbiano consapevolezza delle possibili implicazioni della stipsi quando viene trascurata e si rivolgano al Pediatra per qualsiasi dubbio.
Quali strategie consiglia per gestire e risolvere la stipsi di origine funzionale?
Al di là della dischezia del lattante di cui abbiamo parlato, la terapia della stipsi funzionale (indipendentemente dall’età) è basata sulla somministrazione di lassativi osmotici, ossia sostanze inerti che richiamano acqua per osmosi all’interno del lume intestinale, rendendo le feci più morbide e facilitandone così l’eliminazione.
I più noti sono il lattulosio, uno zucchero non assorbibile che restando nel lume intestinale richiama acqua, e il polietilenglicole (PEG), conosciuto anche come macrogol. Quest’ultimo, se utilizzato bene, è in grado di poter risolvere la stipsi funzionale, quando affrontata tempestivamente, o comunque di controllare il problema dando un sollievo permanente. Non si tratta di un farmaco, è sostanzialmente privo di effetti collaterali, non ha tossicità né a livello locale né sistemico, non viene assorbito (è eliminato con le feci) e, rispetto ai lassativi classici, non provoca assuefazione: la dose non deve essere aumentata nel tempo perché il paziente perde la risposta, ma va semplicemente adeguata al peso (una volta trovata la dose efficace si può andare avanti per mesi).
Il PEG a dosi più elevate viene utilizzato anche per il cosiddetto disimpatto fecale nei bambini che presentano un ristagno importante nel retto (uno o più fecalomi) al fine di sbloccare l’ampolla rettale. Dopo il disimpatto il lassativo viene somministrato a una dose di mantenimento al fine di ottenere l’evacuazione quotidiana di feci morbide (più del normale) per far superare al bambino la paura del dolore durante l’evacuazione.
Il fattore cruciale in ogni caso è la tempestività nel riconoscere il problema, non sottovalutarlo e trattarlo in maniera adeguata. Se la correzione della stipsi viene fatta tardi, ossia diversi anni dopo l’inizio della sintomatologia, possono essersi stabilizzati meccanismi e situazioni anatomico-funzionali che portano alla stipsi dell’adulto.
Qual è il ruolo dell’alimentazione?
Ci sono delle buone norme che, se osservate, aiutano l’intestino a mantenere un’attività di contrazione, transito ed evacuazione normali: l’apporto di una buona quantità di fibre indigeribili (legumi, cereali integrali), il mantenimento di un buon livello di idratazione e un’adeguata attività fisica. Anche se si tratta di misure raccomandabili per mantenere la situazione di normalità ed evitare le ricadute, nessuna di queste misure da sola è in grado di risolvere un problema di stitichezza persistente o cronica, che va comunque trattato con i lassativi osmotici.